Carillon

carillon

di Salvatore Sanna

Ubi lates, ninfa bella? Perché il presente volumetto si intitola Carillon? Per la sua piccolezza, innanzitutto. E poi per il vivo, estremistico gusto dell’antico, dell’arcaico, del grazioso, del retrò, dell’orecchiabile, diciamo anche dell’ingenuo, che vi si dispiega, tanto nei versi quanto nelle prose. Tal quale in una musichetta di carillon. L’autore sa bene che il mondo intorno a lui ha altri gusti, come gli disse un eminente critico cui sottopose in lettura i propri testi (ma soggiungendogli: lei segua la sua vena); però si è domandato: cos’è il mondo riferito a un libro? Qual è, propriamente? Quello dei critici e letterati o quello dei lettori? E i lettori, quelli anonimi, che fanno la vita di un libro, non potrebbero forse gradire una musica non volgare ma cadenzata e orecchiabile, piuttosto che la quartettistica intenzionalmente ardua e difficile più in voga tra le pubblicazioni odierne? Che volete? Lo confesso. Sono al mio esordio letterario – benché mi ritrovi ormai quasi vecchio – e avrei caro, semplicemente, di essere letto. Anche le Note Critiche, che chiudono il libretto, giudicate da un illustre studioso, oggi defunto, indovinate abbastanza nel taglio, ma assai modeste nel contenuto (ma erano, in origine, un compito di scuola!), non ritengo, proprio per questo, che stonino, malgrado la loro diversità formale, se collocate insieme con gli altri miei scampoli. Idee un po’ scontate, da repertorio? Formule un po’ usate? Accenti non peregrini? Banalità, persino? D’accordo, ma come nelle musichette del Carillon…

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